di Roberta Castellarin e Paola Valentini
Pioneer nei giorni scorsi ha deciso di rilanciare la gamma di fondi di diritto italiano che dopo la riforma fiscale del 2011 possono giocare ad armi pari con i fondi esteri sul fronte della tassazione. Se in tema fiscale l’equiparazione è stata raggiunta, dal punto di vista della trasparenza e della vigilanza i fondi italiani sono più sensibili alle esigenze dei sottoscrittori rispetto agli esteri. Le sgr di diritto italiano, anche se non sono obbligate, continuano a pubblicare su almeno un quotidiano nazionale le proprie quote e i cambiamenti che riguardano il regolamento dei fondi, mentre alcune società estere informano i risparmiatori solo via internet, lasciando quindi al buio chi non ha dimestichezza con il web. E non si tratta di un numero esiguo di risparmiatori dato che, secondo la fotografia scattata da Assogestioni, l’età media dei sottoscrittori dei fondi è in crescita (nell’ultimo anno è passata da 51 a 55 anni). Non è un caso se la sgr del gruppo Unicredit punti oggi decisamente sui propri comparti tricolore. Ma da parte delle authority si poteva fare di più. Banca d’Italia e Consob non hanno colto l’occasione del recepimento della direttiva Ucits IV, che introduce il passaporto europeo per i fondi, per indurre l’industria a fare un passo avanti sul fronte della trasparenza. Una mossa che avrebbe reso più competitiva la piazza italiana in un momento in cui l’attenzione dei risparmiatori è sempre più volta alle tutele. Se sicuramente potrà essere apprezzata dagli investitori la scelta di Via Nazionale di rendere più rigorose le regole sugli stress test cui sottoporre i fondi visti gli shock sui mercati, un passo avanti anche sulla trasparenza sarebbe stato altrettanto utile per tutto il settore. Tanto più che per i fondi esteri non armonizzati le regole già sono diverse. Il nuovo regolamento di Banca d’Italia dell’8 maggio 2012 sulla gestione collettiva del risparmio, che sostituisce il vecchio regolamento dell’aprile 2005, conferma infatti che i fondi di diritto estero non armonizzati sono tenuti a pubblicare i loro resoconti «su almeno un quotidiano a diffusione nazionale, da comunicare alla Banca d’Italia con periodicità almeno pari a quella di calcolo, il valore unitario delle quote o azioni». Il regolamento prevede anche che il contenuto di ogni modifica regolamentare per questi fondi venga pubblicato utilizzando gli stessi mezzi, ovvero la carta stampata. Dal punto di vista delle informazioni per il sottoscrittore le nuove norme Consob rendono obbligatorio per tutte le società a partire dal primo luglio il Kiid, il nuovo prospetto sintetico, introdotto lo scorso anno con regime transitorio. Il Kiid (Key investor information document), è il documento che contiene le informazioni chiave da consegnare gratuitamente all’investitore prima della sottoscrizione, oltre al prospetto, messo a disposizione a richiesta. Nel solco già tracciato dalle norme in tema di trasparenza e pubblicità finanziaria, il Kiid dovrà essere formulato in un linguaggio chiaro, succinto e comprensibile al pubblico degli investitori, evitando, per quanto possibile, l’uso di termini tecnici. Forse, oltre al linguaggio, si sarebbe dovuta disciplinare la strada raggiungere l’investitore non lasciando agli asset manager la scelta tra Internet e la pubblicazione su un giornale nazionale. Tanto più che esiste anche in questo caso un trattamento diverso per i fondi quotati. Per questi ultimi, quindi Etf, Etc e fondi chiusi, l’aggiornamento del prospetto deve essere comunicato al sottoscrittore una volta all’anno mediante pubblicazione su almeno un quotidiano nazionale. Risulta quindi più informato chi investe in fondi quotati sui mercati regolamentati rispetto a chi, invece, punta sui fondi comuni o sulle sicav non quotate. Su altri temi il provvedimento della Banca d’Italia introduce disposizioni che vanno nel segno di una maggiore trasparenza nei confronti dei sottoscrittori. È infatti previsto che le sgr debbano indicare le utilità ricevute in relazione all’attività di gestione e non direttamente derivanti da commissioni di gestione (si tratta delle cosiddette soft commission), vanno anche segnalate le motivazioni che hanno indotto il fondo ad avvalersi della facoltà di effettuare investimenti differenti da quelli previsti nella politica di investimento e le scelte di gestione conseguentemente adottate. I fondi devono anche pubblicare il tasso di movimentazione del portafoglio (turnover) nell’esercizio. Anche per quanto riguarda gli errori di calcolo della quota, Banca d’Italia ha preferito mantenere la linea del rigore: la soglia di irrilevanza resta allo 0,1%, mentre in Irlanda e Lussemburgo è stata fissata allo 0,5%. Anche su questo fronte, quindi, chi investe in prodotti di diritto italiano gode di una maggiore tutela. Questo dato non deve stupire perché le scelte di Irlanda e Lussemburgo non sono dettate dalla necessità di informare la popolazione interna, quanto ad attirare sgr da tutta Europa, praticando condizioni particolarmente favorevoli ai gestori stessi. Quanto questo abbia a che fare con la trasparenza necessaria, è tutto da vedere. (riproduzione riservata)